Dalla rivista IL MEDICO OMEOPATA – Quale guarigione… e quale cura?
Il concetto e la definizione di guarigione è forse uno dei temi più divergenti tra le visioni della Medicina omeopatica e di quella convenzionale. Abbiamo già parlato del problema della soppressione sintomatica quale lettura miope e superficiale, a volte addirittura dannosa, così come ci è stata insegnata e trasmessa nei secoli: vedere sparire un sintomo non è sempre vera guarigione, se non migliora lo stato generale e la cronicità del male.
Proponiamo una bellissima disamina dell’argomento in cui si segnala che, molto spesso, il risultato terapeutico finale è basato solo su parametri sintomatologici di tipo medico-clinico, senza un’adeguata valutazione di quelli psicologici ed “esistenziali”. Sono distinte le situazioni di acuto per le quali, non disponendo di un rimedio generale più simile alla totalità, può venire applicato un rimedio solo sintomatico (che però, secondo alcuni approcci prescrittivi e metodologici, integra comunque il rimedio cosiddetto costituzionale), dalle situazioni invece in cui il rimedio costituzionale è comunque di prima scelta anche in acuto, non valutando necessario né congruo un rimedio diverso da quello di fondo. In altre situazioni, quando invece il rimedio costituzionale non è ancora stato trovato dall’Omeopata, inevitabilmente il medicinale sintomatico lo sostituisce.
Distinguendo la guarigione clinica (quella osservata dalla sparizione sintomatica dei segni di malattia) dalla “guarigione omeopatica” (che si prefigge il risanamento della totalità intima del paziente), si afferma che è solo la Medicina omeopatica che si prefigge il conseguimento di entrambe. Infatti, la risoluzione anche brillante di un’entità nosologica (cioè dei segni di malattia) è un segnale positivo ma non sufficiente a testimoniare la guarigione profonda dell’individuo.
In alcuni malati, i rimedi solo parzialmente simili promuovono brillanti risoluzioni cliniche che però si accompagnano, al contrario, a stati mentali e atteggiamenti comportamentali francamente patologici, precursori di nuovi quadri di malattia. Promuovendo infatti soppressioni sintomatologiche in maniera reiterata nel tempo, grazie a interventi solo parziali e non causali, si possono avere ripercussioni negative sul quadro generale del paziente. Si può persino osservare che, dopo un rimedio più profondo correttamente individualizzato, riemergano spesso, seppur momentaneamente, i sintomi che erano stati soppressi dai trattamenti precedenti.
Pertanto, allo scompenso organico del soggetto deve corrispondere una profonda modificazione del malessere che manifesta: l’Omeopata deve alla fine analizzare non solo il successo clinico, ma anche e soprattutto la profondità del cambiamento intimo promosso nel Paziente. Occorre che anche il malato nella sua totalità sia stato curato profondamente ed è questo che spesso diversifica l’approccio medico omeopatico da quello della medicina ufficiale.
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Testo: dott.ssa Renata Calieri, Farmacista Formatore, direttrice del Dipartimento Farmaceutica Omeopatica FIAMO