LETTERA D’INSEDIAMENTO DEL NUOVO PRESIDENTE F.I.A.M.O. – DOTT. BRUNO GALEAZZI

Omeopatia. Eventi inattesi

Gli eventi inattesi.
Breve storia di un viaggio nell’omeopatia.

La storia bicentenaria della medicina omeopatica è ricchissima di eventi, ma in questa occasione non ho intenzione di parlarvi della grande Storia. Desidero raccontarvi gli eventi inattesi della mia piccola storia personale con l’omeopatia.

Quando ero giovane studente al 4° anno del corso di laurea in Medicina, lessi per la prima volta qualcosa riguardante l’omeopatia e ricordo che la mia prima reazione fu una scrollata di spalle: l’affermazione dell’efficacia terapeutica di una sostanza diluita oltre il numero di Avogadro mi portò a bollare tale ipotesi come implausibile, sostenuto dallo studio della chimica e della biochimica di cui ero fresco ed entusiasta.
E’ proprio ricordando la reazione che ebbe la mia giovane mente, appassionata della potenza conoscitiva del metodo scientifico, che posso comprendere la reazione di quanti, cultori della Scienza, reagiscono con sospetto o avversione di fronte ai paradossi dell’omeopatia moderna.
Confesso che per essi nutro una certa simpatia, forse perché in loro mi rivedo e riconosco la mia prima reazione.

L’entusiastica adesione al metodo scientifico mi aveva peraltro stimolato a non disdegnare la curiosità e il dubbio come motori primari di ogni indagine scientifica.
Sospinto solo dalla curiosità, poichè al momento non avevo dubbi sulla insostenibilità dell’omeopatia, non volli subito chiudere l’omeopatia sotto la pietra tombale della implausibilità rispetto alle teorie scientifiche generalmente accettate.

Acquistai quindi un rimedio omeopatico (come si diceva allora, ora si direbbe medicinale omeopatico) scegliendolo a caso da un elenco. Erano per me insignificanti denominazioni in latino, dietro le quali potevo riconoscere l’origine minerale, vegetale ed animale di una sostanza che, a rigor di logica, lì dentro, in quel flacone di granuli zuccherini, non era più presente.

Mi decisi per un semplice esperimento e una mattina prima di recarmi ad assistere alle lezioni universitarie, sciolsi in bocca una piccola quantità dei granuli del rimedio omeopatico. Nelle ore successive comparve uno strano stato di lieve sovraeccitazione e un fine tremore alle mani, che mi accompagnò per tutto il giorno, simile a quello che puoi ottenere bevendo robuste dosi di qualche sostanza nervina come il caffè, che non sono solito bere.
La comparsa di quei sintomi, pur se lievi, mi aveva stupito e confesso anche un po’ turbato. Le mie attese erano state contraddette da un fatto inatteso e ora non sapevo cosa aspettarmi nell’evoluzione di questi strani lievi effetti. Ricordo in modo vivido il mio gesto quando, tornato a casa, feci cadere il tubetto dei granuli omeopatici nel contenitore della spazzatura. C’era qualcosa di pericoloso lì dentro e decisi che il mio esperimento si era concluso. Non volevo più saperne di omeopatia.
Se avessi avuto qualche minima rudimentale conoscenza del metodo omeopatico, avrei subito capito, senza esitazione né preoccupazione, che avevo appena effettuato una sperimentazione patogenetica su individuo sano, tappa fondamentale per la conoscenza dell’effetto dei medicinali omeopatici. Avrei anche saputo che i sintomi che compaiono nel contesto della sperimentazione patogenetica sono innocui e spesso fugaci ed infatti il giorno dopo i sintomi che si erano manifestati il giorno prima erano completamente scomparsi. Con essi era anche scomparsa ogni mia ulteriore curiosità verso quella cosa strana e probabilmente pericolosa che era il rimedio omeopatico.

Alcuni anni dopo, come giovane medico esercitavo con soddisfazione la mia professione in vari contesti, mentre contemporaneamente era iniziato un altro lungo percorso di studio. Dopo i 6 anni per il corso di Laurea, ero entrato nella Scuola di Specializzazione in Medicina Interna, altri 5 anni di intenso studio e pratica clinica. Ricordo con gratitudine e stima i miei Maestri nella clinica, il prof. Ruol, il prof. Menozzi, il prof. Zuin e il dr. Finucci e tutti i docenti che si avvicendarono in quegli anni per trasmettere a noi specializzandi un sapere scientifico e clinico che stavo progressivamente acquisendo e di cui ero orgoglioso. Nonostante la difficoltà della competizione all’esame di ammissione, non avevo ceduto alle lusinghe di provare ad accedere ad altri corsi di specializzazione. Vedevo la medicina interna come la possibilità di studiare e curare la patologia con una visione globale e i due anni di internato pre-laurea nella Clinica Medica II dell’Università di Padova mi avevano convinto a non concepire altra strada specialistica se non quella della medicina interna.

Accadde una notte che mi svegliai in preda a fortissimi dolori ad un dente, per i quali stavo già assumendo da qualche giorno antibiotico e antidolorifici-antinfiammatori, con adeguato schema posologico.
L’intensa sofferenza mi spinse ad alzarmi e a cercare tra i farmaci che tenevo a casa qualcosa che potesse integrare la terapia in atto. Non trovai altro che farmaci appartenenti alle stesse categorie terapeutiche di quelli che stavo già assumendo.
Poi l’attenzione cadde su un flacone di un medicinale omeopatico, che un informatore mi aveva lasciato e che, non so per quale motivo, non avevo prontamente cestinato. Ricordavo che nel presentarmelo aveva cercato di convincermi della sua efficacia in caso di dolori infiammatori.
Avendo esaurito le altre risorse, iniziai a leggere il contenuto di quel flacone: belladonna, aconitum, mercurius a debole diluizione e altri nomi che suonavano meno minacciosi. Pur non avendo particolari conoscenze oltre il contesto farmacologico, non mi sfuggiva la potenziale pericolosità e tossicità delle piante elencate, tantomeno del mercurio. Il forte dolore mi sollecitava a fare qualcosa, ma la convinzione che quelle sostanze fossero tossiche mi tratteneva dall’assumerle. Alla fine prevalse la disperazione causata dal dolore e deglutii 20 gocce di quel pericoloso preparato con molto timore e gran poca fiducia.
Dopo 10 minuti stavo dormendo nel mio letto. La mattina successiva mi svegliai con molto meno dolore e anche il gonfiore era diminuito. Sospesi l’antidolorifico e proseguii come da protocollo l’antibiotico; non ricordo se proseguii con altre gocce di quel pericoloso composto, forse pensavo che mi era andata anche bene e preferivo non rischiare ulteriormente insistendo con sostanze tossiche.
Se avessi posseduto qualche rudimentale nozione della legislazione che regola la farmacopea omeopatica avrei potuto essere ampiamente rassicurato sapendo che i medicinali omeopatici sono resi disponibili in commercio a partire dalla prima diluizione non tossica 1/100.
Ero stato protagonista di un evento inatteso e questa volta con effetto terapeutico favorevole.
Non potevo negare l’evidenza del fatto. Di nuovo la curiosità fu il motore, ma la motivazione assumeva ora confini più ampi. La domanda che si poneva non riguardava la plausibilità dell’omeopatia, non conoscendo il meccanismo d’azione, ma avevo verificato su di me un effetto terapeutico e ora desideravo verificare se tale effetto fosse riproducibile.
Dopo essermi procurato un prontuario terapeutico di quel gruppo di preparazioni omeopatiche, iniziai a consigliare a parenti ed amici quel tipo di medicinali per vari disturbi, basando la scelta sulla diagnosi nosografica. Non era particolarmente difficile: era sufficiente porre correttamente la diagnosi e la scelta del medicinale avveniva secondo le categorie nosologiche con cui ero abituato a lavorare.
Dopo diversi mesi di prove, rimasi stupito nel registrare mediamente un buon miglioramento dei sintomi con i composti omeopatici che consigliavo, ma mi stavo accorgendo che il beneficio era solo transitorio; se si trattava in origine di una condizione cronica, la patologia tendeva a recidivare e il composto omeopatico ad ogni ripetizione produceva la diminuzione dei sintomi ma “non mi faceva fare strada”, come commentai dentro di me.
Ormai la questione mi aveva preso: stavo utilizzando composti omeopatici che producevano effetti clinicamente apprezzabili in varie condizioni cliniche, ma non riuscivo ad imprimere una direzione di guarigione al percorso terapeutico.
Per la prima volta da quando, giovane studente di Medicina, mi ero imbattuto nell’omeopatia, sospettai che le conoscenze che possedevo e il metodo diagnostico terapeutico lungamente studiato e delle cui applicazioni andavo fiero, potessero essere inadeguate per comprendere il funzionamento e l’utilizzo terapeuticamente corretto dei medicinali omeopatici.
Un altro evento inatteso stava per insidiare il mio percorso di medico ospedaliero. Avevo da poco pubblicato con il contributo di altri colleghi, tra cui il compianto Antonio Tufano, e con l’importante guida della prof.ssa Bortolotti, un lavoro scientifico, clinico-epidemiologico che raccoglieva, per l’epoca, il più vasto numero di pazienti affetti da epatite C di tutta la letteratura scientifica mondiale, afferenti al Servizio presso cui lavoravo. Ancora oggi lo trovo citato nella bibliografia di recenti pubblicazioni del settore. Si erano anche da poco conclusi i lavori della Commissione HIV/AIDS nella nostra ASL a cui avevo partecipato attivamente conoscendo la situazione clinica ed epidemiologica della totalità dei pazienti; da quello studio sarebbero scaturite le scelte assistenziali della Direzione Sanitaria. Il percorso della mia carriera si stava delineando.
Tuttavia, in modo del tutto inatteso, l’interesse per l’omeopatia mi spinse a chiedere un’aspettativa per motivi di studio e volai a Londra, dove per un anno la studiai e praticai all’Ospedale Omeopatico. Ero entrato nel mondo dell’omeopatia classica, quella di Hahnemann e, in modo inatteso, mi sembrava di averne sempre fatto parte così come mi sembrava di conoscere da sempre le persone che ebbi la fortuna di incontrare. Assimilavo avidamente i principi diagnostico-terapeutici e il metodo dell’omeopatia classica, che ora riuscivo finalmente a riconoscere compiutamente come un insieme razionale di osservazioni sperimentali e metodologia clinica. I risultati terapeutici iniziavano ad essere sostanziali, stabili nel tempo; era possibile osservare un percorso terapeutico applicando principi metodologici precisi e razionali.
Quando ripresi servizio in Ospedale ero profondamente cambiato.
Nei due anni successivi iniziai a curare diversi pazienti con il metodo omeopatico classico. Ero molto esigente con le mie osservazioni, volevo essere sicuro che gli effetti terapeutici che osservavo non fossero indotti dall’effetto della suggestione né dal caso.
Si stava insinuando in me una situazione pericolosa: se l’omeopatia si fosse mostrata efficace, oltre ogni ragionevole dubbio, nella maggior parte dei pazienti che curavo, avrebbe messo in dubbio le mie scelte, le conoscenze scientifiche di cui ero convinto, la mia carriera.
Stavo mettendo in gioco tutta la mia vita, personale e professionale, i lunghi anni di studi universitari, la sicurezza economica. Dopo due anni di osservazioni rigorose la scelta di lasciare l’Ospedale, prima lungamente dibattuta e sofferta, scaturì improvvisamente il giorno in cui percepii che quel percorso non aveva più senso per me.
Scelta incomprensibile per i miei colleghi, ma accolta con rispetto, come dal caro collega Antonio Tufano che così commentò: “Non so niente di omeopatia, ma se la fai tu mi fido”.
Sono trascorsi 22 anni da quella scelta radicale, ma mi accorgo che di radicale ci fu solo la diversa interpretazione riguardo alla mia carriera. Progressivamente ho imparato a spostare la mia focalizzazione dalla malattia al malato e all’inscindibile unità psicofisica della persona. L’individuo malato esprime con la sua sofferenza fisica e psichica una storia traboccante di significati. Al capezzale dell’umanità sofferente la Medicina è sempre una sola, seppure diverse possano essere le competenze del medico. La pratica del metodo omeopatico va intesa in un contesto integrato di conoscenze. Leggo ora molta più letteratura scientifica di quanto facessi finché lavoravo in Ospedale. Il medico deve sempre scegliere la terapia più sicura, più efficace e con minori effetti collaterali e per fare questo deve aggiornarsi continuamente.
Spesso trovo nell’omeopatia la risposta migliore, altre volte è necessario che omeopatia e farmaco aiutino in modo sinergico la situazione, altre volte è il bisturi del chirurgo l’opzione adeguata. L’auspicio del precedente Direttore Generale dell’OMS, Margaret Chan risuona continuamente: “la giusta terapia, dal giusto terapeuta, al momento giusto”
Le lunghe ore di ascolto delle storie dei pazienti, l’esame fisico, gli esami clinici, i percorsi terapeutici, l’insegnamento del metodo omeopatico; quell’affinarsi progressivo di esperienza e sensibilità, ragionamento e intuizione, razionalità scientifica ed empatia. Convinto delle mie scelte professionali, pensavo che fosse questo l’orizzonte del mio percorso, gratificato dall’affetto dei pazienti e contento dei loro percorsi terapeutici.
Ed infine il più recente evento inatteso. Non avrei mai pensato che così tante preferenze cadessero sulla mia persona durante le recenti votazioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo. La FIAMO è una grande comunità di medici omeopati e molti hanno lunga esperienza di servizio nella vita dell’associazione.
Di fronte a questo ulteriore evento inatteso sto cercando di reagire come ho sempre fatto, sento di avere ancora la curiosità, il dubbio costruttivo, la passione e la determinazione che mi hanno sempre accompagnato. La FIAMO è una grande associazione in cui Dipartimenti e Comitati si estendono su molteplici ambiti: la pratica clinica, la formazione, la ricerca scientifica, la comunicazione, l’agro-omeopatia, la medicina veterinaria ed altro ancora. Ogni aspetto è sinergicamente importante per il buon successo della nostra azione. Sento che uno dei miei compiti consiste nel facilitare lo svolgimento armonioso delle numerose attività, valorizzando le caratteristiche e l’impegno di ognuno. Queste mie intenzioni sarebbero velleitarie senza la fondamentale collaborazione dei membri del Consiglio Direttivo, straordinaria commistione di esperienza, vivacità e passione. E’ grazie a loro, dr. Francesco Marino, vice-presidente, dr. Pindaro Mattoli, segretario, dr.ssa Antonella Ronchi, past-president, dr.ssa Elisabetta Zanoli, tesoriere, che il Consiglio Direttivo FIAMO potrà proseguire nel solco della continuità e del rinnovamento, al servizio dell’omeopatia.

Dott. Bruno Galeazzi
Presidente FIAMO

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