Da medico omeopata ho sempre considerato l’importanza del cibo per la salute, ma fu a partire dal 2015, quando lessi Il Dilemma dell’onnivoro, di Michael Pollan, un libro in realtà uscito già nel 2008, che aumentò la mia consapevolezza secondo cui se siamo, come effettivamente siamo, quello che mangiamo, la qualità del nostro cibo riveste un’importanza primaria. In quel libro si affrontava tra gli altri il tema degli allevamenti intensivi negli Stati Uniti. Sono passati molti anni da allora, ma lentamente cresce una coscienza ecologica e alimentare, al punto che a dicembre scorso abbiamo trovato la notizia secondo cui la cittadina di Berkeley, in California, è diventata la prima al mondo a vietare completamente gli allevamenti intensivi.
Il 60% degli elettori, con l’approvazione della Ballot Measure DD, ha deciso di mettere al bando le Concentrated Animal Feeding Operations (CAFO), che sono gli allevamenti intensivi cioè strutture in cui gli animali vivono in condizioni di scarsa igiene e sovraffollamento, vietando sia la costruzione di nuovi allevamenti sia il mantenimento di quelli esistenti; eventuali violazioni saranno sanzionate con una multa di 10.000 dollari.
Non è solo la preoccupazione per il benessere animale che ha portato a questo radicale provvedimento: da tempo si vanno accumulando i dati sull’impatto negativo che gli allevamenti intensivi hanno anche sull’ambiente, sia per la produzione di gas serra che per la contaminazione delle risorse idriche. È recentissima la notizia che Soresina, comune di meno di diecimila abitanti del Cremonese, dove si concentra una delle maggiori presenze di allevamenti intensivi in tutta Europa, ha superato i limiti di smog per più di 75 giorni, tanto da essere definito sui media il paese dell’aria nera. La causa non è il traffico, o la presenza di fabbriche o la densità abitativa, tutte cose inesistenti. La causa è invece legata al metano enterico, quello scaricato dalle mucche nella fase della digestione. Contemporaneamente a questa notizia viene riportata quella della nascita in Scozia con la fecondazione artificiale della vitellina Hilda, selezionata per ridurre la produzione di metano (CH4). Questo avverrebbe attraverso la selezione di bovini in cui i batteri produttori di metano sono meno attivi.
Riguardo al benessere animale, sono sorte diverse iniziative che fanno ben sperare e testimoniano che un cambiamento culturale e politico è in atto. In Argentina, per esempio, la Terra del Fuoco è stata la prima provincia a vietare l’allevamento di salmoni e, negli Stati Uniti, Washington ha recentemente approvato una legge per vietare l’allevamento intensivo di polpi. Pochi mesi fa le enormi sofferenze degli animali negli allevamenti ittici e le irregolarità nei controlli veterinari sono state documentate dal video girato dall’associazione Essere animali.
Chiaramente la scelta di una piccola comunità, peraltro già da tempo impegnata in iniziative a tutela dell’ambiente, è molto più semplice da realizzare che un cambiamento nelle politiche degli stati; una piccola comunità riesce più facilmente a sganciarsi dagli interessi economici delle grandi imprese; purtroppo lo stesso non accade ancora quando si vanno a vedere le politiche delle istituzioni nazionali o sovranazionali. E che sia così lo dimostra il fatto che nel 2023 l’Ue abbia erogato 113 milioni di euro alla Lombardia per sostenere la zootecnia. Ma per quale modello di zootecnia?
La nuova indagine di Greenpeace “Fondi pubblici in pasto ai maiali” specifica che questi fondi pubblici hanno finanziato allevamenti intensivi situati in comuni che già superano i limiti consentiti di emissioni di azoto. In pratica, il 40% di tutti i fondi della Politica Agricola Comune (PAC) destinati alla regione continua ad alimentare lo stesso modello produttivo insostenibile. Attualmente, in Lombardia vengono allevati il 48% dei suini, il 26% dei bovini e il 17% degli avicoli presenti sul territorio nazionale.
Sta a noi essere il motore del cambiamento e chi volesse approfondire l’argomento, può fare riferimento a www.ciwf.it, l'unica non profit italiana che lavora esclusivamente per la protezione e il benessere degli animali allevati a fini alimentari, sottolineando l’urgenza di abbandonare il sistema dell’allevamento intensivo a favore di sistemi agro-ecologici, più rispettosi del benessere animale, dell’ambiente e della salute umana.
Dr.ssa Antonella Ronchi