Lettera dei medici omeopati ai Cittadini

giovedì, 05 aprile 2018 by

Durante gli anni ’90, molte Farmacie (e poi quasi tutte) cominciarono a mettere in grande evidenza l’insegna luminosa con scritto Omeopatia, come a dire che lì dentro si offriva un assortimento di medicinali in più e delle competenze (il consiglio del Farmacista) che altri non avevano. Cominciava quindi a distinguersi uno spazio dedicato: uno scaffale, un banco a parte e molto spesso anche un professionista dedicato che, formato adeguatamente, si occupava del settore nello specifico all’interno della Farmacia. A quell’epoca la normativa era meno delineata e i preparati omeopatici presenziavano sul mercato italiano grazie a una disposizione transitoria, in attesa di regolamentazione.

Oggi, con il recepimento delle Direttive CE, questa regolamentazione (D.l.vo 219/2006), e quindi l’adeguamento cui le aziende produttrici stanno facendo fronte entro i termini del 2018, legittima totalmente questi preparati a Medicinali a tutti gli effetti. Ecco perché la normativa italiana li vuole all’interno della Farmacia o comunque in presenza di un professionista Farmacista all’interno dell’esercizio (es. Parafarmacia).
Ma che percorso formativo hanno seguito questi Farmacisti, e come si caratterizzano i prodotti omeopatici?

Le Scuole di Formazione in Omeopatia sono tutte quasi esclusivamente private, ma coerenti con i programmi didattici convenzionati a livello internazionale e con un monte ore minimo condiviso: si vedano ad esempio le indicazioni della Liga Medicorum Homoeopathica Internationalis e dell’European Committee for Homeopathy specifiche per il Farmacista, per un monte minimo di 250 ore di formazione; dal 2013 anche l’Accordo Stato-Regioni per l’insegnamento dell’Omeopatia sancisce un percorso formativo dei Medici per almeno 400 ore di lezioni teoriche + 100 di pratica clinica.

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Secondo la normativa già citata, per medicinale omeopatico s’intende “ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza per preparazioni omeopatiche o ceppi omeopatici, secondo un processo di produzione omeopatico descritto dalla farmacopea europea o, in assenza di tale descrizione, dalle farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità europea; un medicinale omeopatico può contenere più sostanze […]”, comprendendo in tale definizione sia i cosiddetti complessi che gli unitari, sia gli antroposofici che gli omotossicologici, e tutti quei preparati che in Farmacia riportano la dicitura “Medicinale omeopatico” senza una vera distinzione.

Ognuna di queste branche, che gode di legittima identità e caratteristiche, viene invece classificata metodologicamente nelle Omeoterapie, lasciando alla sola disciplina hahnemanniana classica la definizione di Omeopatia.
Ecco che il Farmacista competente conosce, distingue, e gestisce nel suo consiglio al banco tutti questi omeoterapici, che al momento sono formalmente classificati come Senza Obbligo di Prescrizione (SOP).

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Bibliografia: D.l.vo 219/2006, http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/06219dl.htm

Testo: dott.ssa Renata Calieri, Farmacista Formatore, direttrice del Dipartimento Farmaceutica Omeopatica FIAMO

La medicina convenzionale tende talvolta a concepire i suoi interventi come se l’organismo vivente fosse una macchina cui aggiustare i pezzi singolarmente. E così, se l’intestino si ferma si consiglia un purgante, se lo stomaco brucia si somministra un anti-acido, se l’occhio è rosso si applica un collirio, se c’è una vena varicosa si prescrivono calze contenitive.

Forse però le cose non sono più complesse e non così “meccaniche”: il corpo non può restare inerte alle imposizioni esterne, essendo un sistema biologico in continua trasformazione.
Nei paragrafi dal 63 al 66 del suo “Organondell’Arte di guarire”, Hahnemann fornisce una sapiente distinzione tra quella che egli definisce come Azione primaria, ossia l’azione che può esercitare sull’organismo una qualsiasi sostanza o attività (es. un principio attivo, la caffeina, un oggetto gelido sulla pelle…) e quella che invece chiama Azione secondaria, ossia la reazione dell’organismo a quello stimolo.

Egli ci dice: “Ogni agente che agisce sulla vitalità, ogni medicina, disturba più o meno la Forza Vitale, causando una certa alterazione nella salute individuale per un periodo più o meno lungo. Questa è chiamata azione primaria”. Anche se ognuno di noi la percepisce diversamente e soggettivamente, essa è principalmente dovuta ai principi attivi che le sono effettivamente propri.
Poi però: “A quest’azione la nostra Forza Vitale tenta di opporre la sua stessa energia. Questa azione di resistenza è una proprietà, infatti, è un’azione automatica del nostro potere di autoconservazione, che porta il nome di azione secondaria o reazione”: il più delle volte è opposta allo stimolo ricevuto.

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Facciamo un paio di esempi. Infiliamo la mano nella neve  per un po’ di tempo. La neve di per sé avrà un’indiscutibile azione raffreddante, alla quale il corpo (grazie alla sua Forza Vitale) si opporrà, per salvaguardarsi. Togliamo quindi la mano dalla neve e riportiamola nella normale temperatura ambiente: sentiremo un fortissimo calore, autoprodotto, quasi pulsante e doloroso, perché il corpo sta cercando di riportare la sua temperatura alla normalità.
E ora pensiamo ad un collirio (o a un anti-acido per lo stomaco): le venuzze dell’occhio sono dilatate e rosse (o l’acidità gastrica è eccessiva) e noi applichiamo un collirio vaso-costrittore (o assumiamo un anti-acido) per contrastare questa dilatazione (o questa acidità). La reazione del corpo, in risposta a questa dinamica imposta da una sostanza estranea, provvederà immediatamente – appena finito l’effetto del farmaco – a opporvisi categoricamente, riportando magari una vaso-dilatazione (o un’acidità) addirittura maggiore di quella che volevamo combattere.

I più recenti testi di Medicina chiamano ora questa Azione secondaria “effetto paradosso” o “di astinenza”. Ma forse si tratta di un “processo naturale”, è il corpo che reagisce.

In Omeopatia, questa Azione secondaria viene sfruttata a scopo terapeutico: somministrando in dosi diluite e dinamizzate una sostanza, che a dosi massicce creerebbe degli effetti definiti (Azione primaria), si cerca di fare in modo che la reazione contraria dell’organismo non sia smisurata, ma riporti invece la situazione all’equilibrio stabile originario.

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Bibliografia:C.F.S. Hahnemann – Organon dell’arte di guarire – Con integrazioni e commenti didattici utili per la comprensione e l’insegnamento della Medicina Omeopatica a cura del Dr. G. Fagone – Edizioni Salus Infirmorum (2010)

Testo: dott.ssa Renata Calieri, Farmacista Formatore, direttrice del Dipartimento Farmaceutica Omeopatica FIAMO

Quando un Paziente prende appuntamento con un Omeopata lo fa talvolta perché afflitto da una malattia che non è riuscito a guarire completamente con i trattamenti convenzionali, oppure perché preferisce non utilizzare medicine capaci unicamente di “controllarne la sintomatologia”, oppure per affiancare l’Omeopatia ad una determinata terapia in corso.

Quello che lo affligge, in ogni caso, sono una serie di sintomi, ossia di disturbi della propria condizione di benessere che si manifestano con manifestazioni particolari come ad esempio “dolore” o alterazione di una funzione fisiologica o sofferenza. Nel loro insieme, tutti questi sintomi descrivono una malattia o una sindrome.

I sintomi presi singolarmente sono come le parole di un discorso: da sole hanno un significato semplicemente nominativo, mentre è il loro insieme che descrive la sofferenza del Paziente. La sequenza con cui si presentano, l’associazione che rivelano con specifiche condizioni, la consequenzialità che emerge tra la loro manifestazione, la variazione che subiscono al mutare di uno dei termini cui sono associati, fanno di ogni espressione di sofferenza del singolo Paziente una sofferenza diversa.

L’Omeopata tiene conto proprio delle differenze uniche e soggettive con cui il Paziente riferisce il proprio malessere.
Il Medico omeopata cerca sempre di raccogliere e “cogliere” il sintomo descritto dal Paziente nelle sue caratteristiche e nelle sue modalità proprie e squisitamente individuali di variazione ed insorgenza. È l’insieme dei sintomi che descrive lo stato di malattia, o meglio la malattia di quel Paziente. Le parole del Paziente e solo e soltanto quelle possono descrivere la sua personale sofferenza, la sua sensazione, percezione e vissuto della propria condizione e percezione del mondo circostante.

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L’Omeopata va ad utilizzare esattamente quelle parole, senza interpretazioni né preconcetti, per capire a quale quadro di sofferenza, tra quelli già noti grazie ai risultati della sperimentazione pura delle medicine usate in Omeopatia, somigli la malattia del Paziente. La prescrizione, dunque, sarà sempre una medicina che somiglia nella sua azione alla sintomatologia generata dalla malattia del Paziente.

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Testo: dott. Giuseppe Fagone, Medico Chirurgo, Omeopata, docente di Omeopatia, Tesoriere Nazionale FIAMO

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