Pubblicare dati di ricerca omeopatica: una strada irta di ostacoli

Il Prof. Michael Frass col suo gruppo di ricerca nel 2020 pubblicò su "The Oncologist" un interessantissimo lavoro sui tumori polmonari non a piccole cellule al III stadio in doppio cieco vs placebo da cui emerse che la durata e qualità di vita nei soggetti trattati miglioravano in modo statisticamente significativo rispetto ai soggetti non trattati: praticamente, una bomba!

Questo studio fu pesantemente osteggiato, la veracità dei dati fu messa in discussione, tanto da richiedere al direttore della rivista di ritrattarlo.

Il direttore di The Oncologist avviò pertanto un procedimento di indagine nel 2022 che si è concluso a settembre 2024 con l’affermazione che “lo studio rimane valido e, per chiarire i punti messi in discussione, è stata pubblicata una formale nota di correzione”.

La procedura si è svolta certamente in un modo equo e oggettivo, aderendo alle linee guida ufficiali, e dando agli autori il diritto di replica alle accuse mosse contro di loro. Essi hanno potuto così fornire i dati richiesti su dettagli non inclusi nella pubblicazione originale e la conclusione dei redattori della rivista è che le omissioni rilevate e poi esplicitate non influiscono sui risultati dello studio.

 The Oncologist ha pubblicato un editoriale per accompagnare la pubblicazione dell'avviso di correzione. Oltre a fornire ulteriori approfondimenti su tutto l’affaire, i redattori hanno sottolineato l'importanza di pubblicare tutti i dati - indipendentemente da quanto inaspettati possano apparire i risultati - per rispettare l’impegno preso con i pazienti arruolati per la ricerca.

Resta ovviamente per l’autore Michael Frass, uno stimato Medico internista, Professore all’Università di Vienna, il peso della pesante diffamazione personale e professionale, per l’accusa di aver manipolato i dati.

Questo episodio è molto importante perché si inserisce, per fortuna con un esito positivo, nella lunga storia delle difficoltà che la Medicina omeopatica ha nel diffondere i risultati che emergono dalla ricerca clinica e di laboratorio.

Come affermato nell’editoriale de The Oncologist, i risultati inaspettati difficilmente vengono pubblicati, con una sorta di censura a priori.

Molte riviste poi non accettano a priori articoli che mettano nell’abstract la parola Omeopatia, e molti ricercatori cercano di camuffarsi sotto altre spoglie parlando semplicemente di diluizioni o di rimedi naturali. Se poi uno studio, spesso di ricerca di base, viene pubblicato, è molto facile che attiri le attenzioni degli scettici e che ne venga richiesto il ritiro sulla base di difetti spesso non sostanziali.

Il problema della ricerca in Omeopatia ha la sua base innanzi tutto nel fatto che gli istituti deputati alla ricerca sono soprattutto le Università e gli enti ospedalieri. Ma la Medicina omeopatica difficilmente è presente in queste strutture e si deve affidare a Istituti privati o addirittura a singoli medici o ricercatori.

E sui finanziamenti, come riporta l’Homeopathy Research Institute-HRI, un'analisi condotta nel Regno Unito ha rilevato che solo lo 0,0085% del budget totale per la ricerca medica è stato speso per le CAM (Complementary and Alternative Medicine), tra cui peraltro l’Omeopatia è solo una delle voci…. Negli Stati Uniti, lo 0,4% dei 51,1 miliardi di dollari di budget medico annuale richiesti è stato assegnato alle CAM per l'utilizzo da parte del National Center for Complementary and Integrative Health. Nonostante ciò, la produzione in ambito omeopatico è enormemente cresciuta negli ultimi anni, sia come quantità che come qualità, come testimonia il database della FIAMO.

Riportiamo qui di seguito una sintesi tradotta della sopra citata analisi sul sito dell’HRI, che riassume lo stato dell’arte sulla ricerca clinica in Omeopatia: si intitola

Che prove scientifiche ci sono che l’Omeopatia funziona?

Le prove scientifiche dell'Omeopatia si basano sugli stessi tipi di studi clinici utilizzati per testare i trattamenti medici convenzionali.

329 studi clinici di controllo sono stati pubblicati su riviste scientifiche peer-reviewed. Questi studi controllati confrontano pazienti che assumono l'Omeopatia con pazienti che assumono un placebo, un altro trattamento o nessun trattamento.

Circa il 75% di questi sono studi controllati randomizzati (RCT), considerati il “gold standard” per dimostrare se i trattamenti funzionano in condizioni sperimentali. Il resto è costituito da studi non randomizzati che dimostrano l'efficacia dei trattamenti in contesti clinici “reali”.

Entro la fine del 2023, sono stati pubblicati su riviste specializzate 286 studi randomizzati e controllati sul trattamento omeopatico di 152 patologie mediche con informazioni sufficienti per analizzarne i risultati.

Di questi, 166 erano Trial randomizzati in doppio cieco, con controllo placebo, e coprivano 100 differenti condizioni cliniche: 42% (cioè 70 trials) erano positivi, cioè l’Omeopatia era efficace, 3% (cioè 5 trials) erano negativi, e sul 55% (91 studi) non si potevano trarre conclusioni.

Se si compara con la valutazione di 1128 revisioni sistematiche condotte in ambito convenzionale, nonostante il divario nella quantità degli studi, le percentuali di affidabilità sono sovrapponibili.

Per concludere quindi il discorso, la vicenda di Frass è un importante successo non solo dell’Omeopatia, ma anche della buona scienza e della buona editoria. Questo è particolarmente importante in un momento in cui esce un articolo che denuncia i conflitti di interessi nei peer reviewers, cioè negli esperti che verificano gli articoli scientifici e decidono se vadano o meno pubblicati nelle più prestigiose riviste scientifiche di ambito medico: 2 su 3 risulta abbiano ricevuto soldi dalle case farmaceutiche nel periodo che va dal 2020 al 2022.

Dr.ssa Antonella Ronchi

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